Lezioni di paesaggio 2008

Lezioni di paesaggio è un evento che prevede una serie di incontri, happening, mostre e installazioni temporanee da collocarsi nella Colonia montana di Renesso, edificio del primo razionalismo italiano progettato dall’ingegnere Camillo Nardi Greco nel 1933. La Colonia è situata nel territorio del Comune di Savignone (Ge), nell’entroterra ligure, noto centro di villeggiatura fin dall’inizio del Novecento.

L’obiettivo di Lezioni di paesaggio è diffondere e stimolare una cultura condivisa a partire dalla declinazione e dalla definizione del termine paesaggio nella convinzione che solo conoscendo adeguatamente quest’ultimo è possibile instaurare una nuova e diversa relazione con esso. Le Lezioni mirano dunque al coinvolgimento della cittadinanza attraverso l’invito a discutere apertamente sul tema conarchitetti, artisti, curatori, direttori di musei, geografi, fotografi e scrittori. La riflessione sul paesaggio avverrà anche attraverso l’uso del parco della Colonia, in cui saranno collocati lavori site-specific con la realizzazione di architetture temporanee (eseguite da zerozoone e da altro_studio), di un intervento dei paesaggisti Land-I e di due installazioni d’arte (ad opera di Silvia Cini e di Guido Affini). All’interno dell’edificio invece verrà reso omaggio all’artista Ugo La Pietra con l’installazione dei video realizzati negli anni Sessanta. E ancora, un’installazione video di Fabrizio Basso, uno screening di video d’artista sul tema del paesaggio, a cura di Elvira Vannini, una selezione di video d’artista dall’archivio Careof, a cura di Mario Gorni, e un lavoro pensato appositamente per questa occasione dall’artista Emilio Fantin. In contemporanea verrà organizzata la mostra fotografica “Sguardi nel paesaggio. Un resoconto sulla fotografia italiana contemporanea”, in cui figure emergenti nel panorama nazionale esporranno l’esito delle loro ricerche.

L’iniziativa Lezioni di paesaggio è organizzata nell’ambito del progetto di riqualificazione architettonica e culturale della Colonia in “Cantiere Sperimentale di Cultura Contemporanea”, ideato dall’associazione culturale plug_in – laboratorio di architettura e arti multimediali in collaborazione e con il sostegno dell’amministrazione comunale di Savignone, proprietaria dell’immobile. Il progetto mira a far diventare la Colonia di Renesso un luogo della cultura contemporanea, attraverso la promozione di iniziative che facciano interagire il futuro Cantiere Sperimentale con altre istituzioni culturali italiane ed europee, senza trascurare tuttavia il rapporto (permanente) con la comunità locale di riferimento.

Lezioni di paesaggio rappresentava il primo evento realizzato in questa prospettiva, ma successivamente l’amministrazione comunale non ha ritenuto di proseguire sul recupero della Colonia, a causa del cambio di giunta politica.

Gli incontri di Lezioni di paesaggio si sono tenuti ogni week-end,  dal 3 maggio 2008, e suddivisi per sottotemi: Progettare il paesaggio | Definire il paesaggio | La cultura del paesaggio | Il cinema e il paesaggio | La fotografia e il paesaggio | L’arte contemporanea e il paesaggio.

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installazioni site specific

Fabrizio Basso>Cinque Terre

Due/tre curve, due/tre spari, non sono i G.A.P. di Feltrinelli, è la memoria dei partigiani che attaccano il generale Parodi.

Sulla colonia fascista campeggia lo striscione: “per chi sa andare sul filo all’orizzonte tra e fra il nulla”.

La politica che condiziona il paesaggio. Filmaker autodidatti inseriscono su google le immagini degli incendi in liguria.

Con un aliante sorvolo Serravalle, Gavi, Busalla e Savignone, dove l’autostrada, le raffinerie e il mercato globale griffato dell’ Outlet allontanano il paesaggio, costretto ai limiti della propria sopravvivenza biologica.

Nella convinzione della poesia, Sbarbaro trattiene la memoria dei luoghi, catalogando la sua collezione di licheni, microscopici microcosmi.

Le parole ascoltate nel dialetto delle “5 Terre”, trascritte su striscioni di PVC e riportati nei sentieri dai quali provengono, come gesti quotidiani: “nonnu nu taggia a ceeza”, le strambuchette sulla piana del Lavaccio, il suono dell’armonica di mio nonno che si perde sul precipizio verso il mare.

…. trucioli, frammenti, suoni, frasi che compaiono e scompaiono. L’idea di creare un archivio alle Cinque Terre per raccogliere e giocare attraverso le microstorie di un luogo dove, attraverso i suoni e i racconti dialettali, poter creare una guida audio del territorio.

Lanciarsi con una carrucola sospesi sul tracciato di un sentiero che non esiste più.

Creare una mappatura aperta dove far rivivere alcuni spazi, ma anche trovare nuovi spunti di sperimentazione.

Lo sguardo dall’alto è rivolto verso l’orizzonte oltre il quale si perde una petroliera di passaggio.

E’ la linea immaginaria che traccia il mio amico Emilio Prini al quale dedico il mio lavoro: due barche e un filo di lana che traccia la linea che separa e allo stesso tempo unisce due corpi galleggianti, un passaggio possibile e impossibile allo stesso tempo, una visione metafisica e patafisica che ironizza sul concetto stesso dell’immagine.

E’ il baratro di Nietzsche che sale verso l’alto nelle sue passeggiate sul promontorio di Portofino: la sua parziale cecità gli impedisce in parte di osservare, ma può attraversare, sostare e vivere un’esperienza nel paesaggio, come nel tentativo ottocentesco dei pittori grigi di Liguria, che cercano di tradurre in pittura le sensazioni dell’esperienza nella natura.

Vorrei immergermi nella terra come fanno i fiumi dell’Asia che scendono dall’Himalaya e si perdono nella sabbia dei deserti.

 

Emilio Fantin>Untitled

“Nella nostra epoca essere bambini è pericoloso. La vigliaccheria che ha contaminato il mondo impone di accanirsi con i più deboli e indifesi e soprattutto con quelli più puri e bisognosi d’amore. Il bambino è oggetto di quotidiana violenza fisica e psicologica. Astute strategie commerciali provocano danni permanenti, costruendo modelli melliflui e ipocriti, di cui i bambini, affamati, si cibano. Elencare le altre disgrazie che li affliggono è penoso: schiavitù, sfruttamento minorile, scambio d`organi, pedofilia. La parola infanzia riflette, non più una luce chiara e trasparente, ma densa e violetta, inquietante come i cieli di Marghera. Dietro a questa foschia si staglia all’orizzonte, confusa tra vapori cupi, una concezione strumentale dell’infanzia dove un ordine, un fine, s’impongono sopra e al di là dell’esistenza e della dignità dell’età infantile, di un mondo e di una pedagogia consapevole dei diritti e dei bisogni dei bambini. Una strategia studiata apposta per indottrinare piccole teste e pensieri sinceri, che trova nei media il più potente mezzo di persuasione e parallelamente vede la riduzione di un sistema scolastico a un sistema di preparazione di piccoli adulti. E’ la diretta conseguenza di un programma nazional-popolare che fu applicato con assidua e roboante enfasi dal regime fascista che oggi rivive sotto altre spoglie. La farmacologia e la medicina hanno eletto il bambino a formidabile cliente, portatore di patologie del comportamento, con la possibilità di estendere la terapia a un’intera classe, scuola, nazione. Non da meno, con una strategia che agisce a tappeto vengono preparati indiscriminatamente vaccini di ogni tipo che portano alla vendita di milioni di dosi. L’uso di psicofarmaci nei bambini è aumentato in modo impressionante provocando danni nel sistema nervoso, così come l’uso di antibiotici e cortisone in quello immunitario. L’ex colonia fascista di Savignone, con la sua architettura razionalista e l’aria sinistra di cui il tempo e la storia hanno pervaso i muri, mi è sembrato il posto adatto per mettere in scena la crudeltà e l’inquietudine che domina il mondo dell’infanzia. Tre sono le situazioni ambigue e distruttive che ho inteso sottolineare: la scuola, dove alcuni bimbi giacciono nei loro lettini bianchi mentre una voce ossessiva ripete le tabelline all’infinito. La salute: in una cameretta, un bimbo dormiente ha sul comodino una scatola di Prozac. I media: un’ improbabile sala cinematografica dove la proiezione dello Zecchino d’Oro genera un’ atmosfera oscura e inquietante”.

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Silvia Cini>Gheminga

Realizzati, insoddisfatti, ricchi, poveri, analfabeti, acculturati, di qualunque credo e in ogni luogo, comune a tutti è lo stesso cielo; ma sono pochi coloro che hanno ancora occhi per guardarlo. Sedati dallo spirito di sopravvivenza alla quotidianità, non siamo quasi più in grado di fermarci e compiere il gesto attraverso i soli occhi di proiettarci nelle stelle, di guardare oltre ogni contingenza, per scrutarci dentro e vedere milioni di anni luce più in là.


Il paesaggio che ci circonda ha gradualmente offuscato con le sue luci le stelle e con il tempo la trasmissione orale della loro conoscenza si è affievolita tanto quanto la nostra possibilità di stenderci a guardarle.

Il progetto Gheminga è una forma di dono, un angolo rubato al tempo come la colonia che lo ospita: cerchi d’erba staccati da terra e portati al cielo, ognuno dei quali ospita uno “spettatore” disteso, saranno al contempo una variazione minima tra il paesaggio esistente, come una traccia lieve, una nicchia, un passaggio umano nell’incolto, e un disegno rivolto all’infinito.


Il titolo del lavoro è un omaggio allo spirito di Geminga, la ‘Stella che non c’è’; questa, è una stella a neutroni nella costellazione dei gemelli, costellazione sui cui tracciati l’uomo fin dall’antichità ha strutturato architetture e impianti urbanistici.
Geminga fu scoperta nel ’72 dall’astrofisico Giovanni Fabrizio Bignami e rincorsa dagli astronomi per decenni fino al 2003 quando è stata osservata e fotografata dallo stesso gruppo italiano, guidato da Bignami, e dall’astrofisica Patrizia Caraveo.
Il suo nome internazionalmente noto come Gheminga, non incastona nella gloria i suoi scopritori, né eleva alcun che, in realtà non è altro che Gh’è minga, alla milanese, nel senso che proprio non si trovava, che non c’è.

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Guido Affini>Primario ambiente

Forze invasive & ritualità nel gesto ci spingono ad approssimare le composizioni sonore generate dai nostri stessi ambienti. Nell’intento di accedere ad un ascolto “attivo” applico dei filtri all’ascolto: il vetro e l’acqua che “purificano” e mutano la natura del suono.

(La velocità di propagazione del suono nell’acqua è 4 volte maggiore rispetto all’aria).

Un’ idrofono immerso in differenti forme di vetro cattura il suono e lo trasmette tramite auricolari al nostro orecchio, l’installazione viene sollecitata da varie condizioni appartenenti ai nostri spazi sonori.

Una ricerca sul territorio “sul punto e sul metodo di ascolto”.

Le forme in vetro amplificano ognuna in modo differente le vibrazioni che viaggiano nell’acqua, la nostra percezione uditiva viene alterata nei suoi basilari principi di ricezione. Le distanze e le capacità del nostro orecchio di distinguere “l’ovvia” origine dei rumori assume un’inflessione, portandoci ad amplificare il carico emotivo che ogni luogo genera tramite la propria conformazione acustica. Ciò che osservo non corrisponde più ad una conseguenza sonora e viceversa. Mi riscopro ad ascoltare, ad osservare ambienti “estranei”, nuovi punti nelle architetture e nei paesaggi, cogliendo dettagli e manifestazioni che suggeriscono una differente percezione dello spazio. Una purificazione da quelle “logiche” o conseguenze sensoriali che generano un’ automatismo nei confronti del punto di vista/ascolto.
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altro_studio/Anna Rita Emili>casa pratino

Passeggiando per una via centrale della città, il mio sguardo si posa sui miei passi: mi accorgo di non lasciare impronte. Non c’é più un contatto diretto con la terra, una lastra gigantesca d’asfalto la ricopre.

E’ la stessa separazione che noto tra le persone che passeggiano con me nel centro della città. E’ come se fossimo su una rete infinita le cui maglie ci mettono in comunicazione solo per il tempo di un passaggio. Tutto é ridotto a merce, consumo, occasione d’investimento e di profitto. Mi accorgo che la terra che tanto vorrei calpestare è stata completamente sostituita. La mia ricerca diviene frenetica, come un viandante vado alla ricerca di itinerari non tracciati, cerco ovunque indizi che mi riportino verso un rapporto perduto, quello tra l’uomo e la natura, tra l’uomo e la sua libertà.

Nonostante tutti i miei sforzi e dopo lunghe ore di cammino, non riesco ha trovare nessun frammento di terra. Ormai disperato, noto nella vetrina di un grande supermercato qualcosa che somiglia all’oggetto della mia ricerca. Entro all’interno, tra gli scaffali ci sono dei kit fai da te per costruire piccole abitazioni, simulando montagne, colline, pianure, deserti, rocce, prati. Non credo ai miei occhi, il materiale è autentico, prendo una confezione di prato e velocemente mi avvio verso la cassa. Una volta fuori, mi dirigo verso uno spazio vuoto, apro il kit e comincio il montaggio. L’architettura comincia a prendere forma, producendo un effetto liberatorio che in quel momento coincide con la mia pratica della libertà.

Liberamente tratto da Michel Foucault, Biopolitica e liberalismo, Ed. Medusa, Milano

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]zerozoone[>paesaggi italiani

]zerozoone[ non è una parola definibile. E’ un luogo fatto di esseri umani, un contenitore di idee. La composizione della tribù è variabile nel tempo e mutevole nelle forme con cui si esprime: Ci interessa tutto e tutto ci interessa.

Non definiamo un campo di ricerca e neanche una disciplina nel quale agire, piuttosto possiamo dare una definizione della nostra attività prevalente, possiamo raccontare il nostro gioco più amato: Inventare luoghi. Inventori di luoghi quindi, di mutazioni negli spazi, un po’ come fa Archimede con i suoi oggetti fantastici (Archimede Pitagorico quello di Topolino). Spesso ci troviamo a gestire queste mutazioni, inventando i modi formali con cui queste mutazioni devono e possono avvenire.

E’ l’atteggiamento che è importante, ovvero sentire che il mutamento non è solo formale, ma fisico, con tutti i sensi, e investe il tempo e la mente. Il tutto, l’infinito è una realtà che solo in astratto può possedere delle categorie; inoltre il mutare è inevitabile, è insito nella stessa essenza della materia, è la stessa danza del cosmo che si caratterizza come continuo mutamento.

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Land-I>il paesaggio non è un gioco

La progettazione per noi si identifica con il processo di appropriazione del luogo. Questo avviene con lo svolgimento a volte contemporaneo dei due momenti del Survey – lettura e Assessment – interpretazione del luogo su cui opereremo, luogo che esploriamo in termini di connessioni e preesistenze.

 

‘Survey’ cioè indagine sul campo, vuol dire fisicamente percorrere lo spazio,scoprire un ambito che va molto oltre al contesto dell’area da progettare, una sorta di indagine ‘territoriale’. Elaboriamo poi queste prime osservazioni con indagini storiche, cartografiche, che ci aiutano a ricostruire il mosaico culturale e naturale che ha portato lo spazio su cui progetteremo ad essere cosi come lo abbiamo visto. Le potenzialità di progettazione di questo spazio sono infinite, tutte riconducibili alla parola ‘connessione’, di luoghi disomogenei, elementi solo apparentemente privi di legami reciproci.