Visionary Thinkers

Anno: 2017 /
Lingua: english /
Pagine: 134/
Illustrazioni a colori: 41
Formato: 15×21 cm /
Legatura:  brossura /
isbn: 978-88-95459-29-5/
Prezzo:  10,00 € /

 

The post-war years were a very intense period of experiments, visions and imagination. The end of such a tragic period for the world enabled intellectuals and architects in particular, but also film-makers to rethink the future and imagine new situations with an optimistic use of technologies. For some of them, such as Buckminster Fuller, technology was the resource that was to save the world, as in the case of covering Manhattan with a glass dome, almost to preserve it like an ancient ruin. Thus, this new issue of archphoto2.0 is dedicated to the Visionary Thinkers, to those who turned their minds to imagine new scenarios.

A visionary has a striking imagination and thinks of the city’s future. In some cases, the vision transforms into actual utopia, as in the case of Yona Friedman who, in the fifties, imagined a certain transformation into technological, mobile cities for temporary use, only to see what he had designed become reality. Few intellectuals have managed to leave behind their visionary hallucinations to transform them into actual utopias. Vittorio Giorgini, a great experimenter in the forms and techniques of cement, was partly successful, when he followed his buildings in Baratti (Casa Esagono and Casa Saldarini) with the construction of the rural, youth community centre in Liberty in the state of New York. The Florentine architect was interested in the biological structure of natural forms and experimented his theoretical studies on topology, using a very different, organic approach compared to that of Wright. In 1958, Mario Galvagni followed a more rational approach to experiment with nature using his theory of the ecology of form:
it is a free invention of man’s thought, an interactive concept, a discipline rooted in history, which communities have always applied even unconsciously, but which is inherent in every territorial locality and has always existed. It can be compared to a sort of genetic code of all the resources man has used interactively to construct his own living environment. On the contrary, Bernard Rudofsky studied the environment of the informal Mediterranean, incorporating it into the 1964 exhibition at the MoMA Architecture without architects, the title of which clearly defined his approach to architecture. To underline how spontaneous, informal architecture is sometimes more interesting than planned architecture highlights how the subject of architecture and architects are in crisis. However, visionaries are not just architects. John Andrew Rice, founder in 1933 of Black Mountain College, imagined an alternative school based on practical experience and a cross-curricular approach, which attracted intellectuals, such as Josef Albers, Buckminster Fuller, Merce Cunningham, Willem de Kooning and Beaumont Newhall.
Similarly, the writers James Ballard and Michel Houellebecq tackled the topic of social exclusion in Running Wild (Ballard, 1998) and The Elementary Particles (Houellebecq, 1998). Ballard used the topic of the gated communities, which arose in the English and American metropoli, where everyone lived happily and expressed their desire for freedom closed in a strictly controlled domestic space, no different from what happens in our lives today. Houellebecq also talked of a sort of closed mental space with two brothers, whose paranoia was generated, in their opinion, by their mother, who had abandoned them to live her freedom in a hippie community in the sixties. In the cinema, one of the most interesting film-makers, John Carpenter, represents the horror in the pacified environment - writes Fabrizio Violante – in one of those plasticised suburbs the cinema had, until then, shown as the ideal background for the comedy of evasion. His film Halloween (1978) emphasised his horror of American society.
However, it was Anna Rita Emili’s essay, which created a rift between a positive, concrete, visionary concept like the majority of essays in this issue, and a marked distinction between the terms visionary and utopian in the relationship between Boullée and Fuller.
In these times of crisis in architecture, all architects can do is to pick up again from the Visionary Thinkers!

***

Il dopoguerra è stato un periodo molto intenso di sperimentazioni, visioni e immaginari. La fine di un periodo tragico per il mondo ha consentito agli intellettuali, gli architetti in particolare, ma anche i cineasti di ripensare il futuro immaginando nuove situazioni con un ottimistico uso delle tecnologie. Per alcuni come Buckminster Fuller la tecnologia è stata la risorsa per salvare il mondo come nel caso della copertura di Manhattan sotto una cupola di vetro, quasi a preservarla come un antica rovina. Così questo nuovo numero di archphoto2.0 è dedicato ai Visionary Thinkers, ovvero coloro che attraverso il loro pensiero hanno immaginato nuovi scenari.

Il visionario ha una spiccata immaginazione e pensa al futuro della città. In alcuni casi la visione si trasforma in utopia realizzata come nel caso di Yona Friedman che negli anni cinquanta immagina un certo sviluppo delle città, leggere, tecnologiche, mobili e temporanee negli usi per poi verificare quanto da lui disegnato diventi realtà. Sono pochi gli intellettuali che sono riusciti a uscire dalle allucinazioni visionarie per trasformarle in utopie realizzate. In parte c’è riuscito Vittorio Giorgini, grande sperimentatore delle forme e delle tecniche del cemento, quando ha costruito il centro comunitario rurale per giovani a Liberty nello stato di New York, dopo le architetture di Baratti (Casa Esagono e Casa Saldarini). Lì l’architetto fiorentino ha sperimentato i suoi studi teorici sulla topologia, un atteggiamento organico molto diverso da quello praticato da Wright, interessato alla struttura biologica delle forme naturali. Un approccio piu’ razionale e’ quello che compie nel 1958 Mario Galvagni che sperimenta la natura con la teoria dell’ecologia della forma:
una libera invenzione del pensiero dell’uomo, è una concezione interattiva, una disciplina, sedimentata nella storia, che le comunità hanno sempre applicato a livello anche inconscio ma che è insita in ogni località territoriale ed è sempre esistita. E’ paragonabile ad una sorta di codice genetico di tutte le risorse utilizzate in modo interattivo dall’uomo per costruire il proprio ambiente di vita. Differentemente Bernard Rudofsky studia l’ambiente del mediterraneo informale introiettandolo nella mostra del 1964 al MoMA Architecture without architects, il cui titolo definisce in modo esemplare il suo approccio all’architettura. Sottolineare come l’architettura spontanea e informale sia a volte più interessante di quella progettata evidenzia una crisi della disciplina dell’architettura e degli architetti. Però i visionari non sono solo architetti. John Andrew Rice fondatore nel 1933 del Black Mountain College ha immaginato una scuola alternativa basata sull’esperienza pratica e sull’approccio interdisciplinare attirando intellettuali come Josef Albers, Buckminster Fuller, Merce Cunningham, Willem de Kooning, Beaumont Newhall.
Allo stesso modo gli scrittori James Ballard e Michel Houellebecq affrontano in Un gioco da bambini (Ballard, 1988) e Le particelle elementari (Houellebecq, 1998), il tema dell’esclusione sociale. Ballard affrontando il tema delle gate community che si materializzano nelle metropoli inglesi e americane, dove tutti vivono felici e esprimono il loro desiderio di libertà rinchiusi in uno spazio domestico ipercontrollato, non diverso da ciò accade nelle nostre vite odierne. Ma anche Houellebecq narra di una sorta di spazio chiuso, mentale, ovvero due fratelli le cui paranoie sono state generate, secondo loro, dalla madre che li abbandonati per vivere la sua libertà in una comune hippie degli anni Sessanta. Nel cinema, uno dei più interessanti cineasti John Carpenter rappresenta, a partire da Halloween (1978), l’orrore nell’ambiente pacificato-scrive Fabrizio Violante- in uno di quei sobborghi plastificati che il cinema aveva mostrato fino ad allora come sfondo ideale della commedia d’evasione; enfatizzando la sua visione horror della società americana.
Ma é il saggio di Anna Rita Emili che crea una spaccatura tra una concezione visionaria positiva e concreta come la maggiore parte dei saggi presenti in questo numero, ed una netta distinzione tra i termini visionario e utopico, nel rapporto tra Boullèe e Fuller.
In questi periodi di crisi dell’architettura l’unica possibilita’ per gli architetti e’ ripartire dai Visionary Thinkers!