Title / Titolo: Archphoto 2.0_01 . Radical City
Author / Autore: Various
Subject / Soggetto: Architecture / Architettura
Year / Anno: 2012
Language / Lingua: English / Inglese
Pages / Pagine: 24
B&W images / Immagini in B/N: 38
Size / Formato: 22,5×31,5 cm
Binding / Rilegatura: Staples / Punto metallico
ISBN: 978-88-95459-08-0
Price / Prezzo: 10,00 €

The city is where Italian radical architecture represented and experimented its theories. Having developed a first survey entitled “Dopo la rivoluzione. Azioni e protagonisti dell’architettura radicale italiana” [“After the revolution. Actions and protagonists of Italian radical architecture”] where I let those protagonists take the stand, for this new issue of archphoto2.0 I decided to approach the issue of the radical city. Or the place the radicals chose for their theoretical and practical experimentations. This change of point of view provides a new reading of radical architecture as it embraces the entire movement and avoids an excessive focus on individual fragments, which I think would diminish the radicals’ theoretical power. The goal is writing a new, as never written before, page of architectural history by using the ‘60s political and cultural context as a departure point. The student protests for a better education in universities, sit-ins, strikes, the revolutionary wave from Berkeley, the People Park, the birth of pop art in England, the crisis of architecture after the end of the modern movement, the destructuring of language, the disciplinary cross-over of art, architecture, music, and theatre contributed to the cultural background that generated the radical adventure. An adventure that took shape between Florence, Turin and Milan and created connections with other movements of the new architectural avant-garde in Austria (Pichler, Haus Rucker, Coop Himmelblau, Hollein) and the UK (Archigram, Cedric Price). Florence was one of movement’s main hubs as the city of the two Leonardos – Ricci and Savioli who, along with Eco and Konig, promoted the development of radical theories. In Turin a key role was played by Pietro Derossi with his Arte Povera connections, while the Milan scene was dominated by Ugo La Pietra, Sandro Mendini, Ettore Sottsass and Fernanda Pivano. While the early projects remained theoretical proposals, some, including Archizoom, Superstudio, Strum, established an ambiguous relationship with design that, in time, became more and more important after the international exhibition “Italy: the new domestic landscape” curated by Ambasz at the MoMa in 1972; the only exception was Zziggurat, the last radical group. Others like UFO, Gianni Pettena, Ugo La Pietra and 9999 chose the “piazza” (public space) for their theoretical/practical experimentation as the adequate venue for installations and performances that used the same language as that of artists. But the “piazza” was even more the place for a direct connection with the students and their protests against the academy and the ruling system – that influenced the development of UFO, the group led by Lapo Binazzi who, between inflatable objects and performances, admirably interpreted the relationship between semiology and architecture. Public space became the venue for an exchange between artists and radicals – for example with Campo Urbano (curated by Luciano Caramel in Como in 1969), the meeting place of La Pietra, Pettena+Chiari and Paolini; or with the dialogue between Robert Smithson and Gianni Pettena. There is, however, one place in particular that an architect in the ‘60s saw as uniquely capable of expressing the concept of modernity: the disco club. Every radical architect designed one. In Florence, Superstudio designed Mach2, while 9999 created and managed Space Electronic, the most famous club, where the group organized concerts by emerging British bands, happenings and experimental theatre performances. UFO’s Bamba Issa disco club in Forte dei Marmi and the Sherwood restaurant in Florence, La Pietra’s Altre Cose boutique with its Bang Bang disco club in Milan. The Piper disco club designed and managed by Pietro Derossi in Turin became an Arte Povera meeting place. This new scene so keen on entertainment was promoted by Leonardo Savioli who, inspired by his assistants such as Adolfo Natalini, proposed the disco club as a design type in his furniture and interior design course at the School of Architecture in Florence; of course, the designers of the Piper in Rome had also been his students. Another important aspect of this age was the flourishing of independent publications: from Archigram’s fanzines to La Pietra’s In and In più, up to 9999’s furry catalogue for an event at Space Electronic with Superstudio. The new wave of experimentation was championed by magazines such as AD and Casabella with Sandro Mendini emerging with his revolutionary approach to cover design and focus on images as crucial expressive devices. Inspired by the historical avant-gardes – dada, futurism and expressionism, radical architecture played a crucial role in architecture history seldom if ever mentioned in official histories of architecture and today represents a treasure still be to be unveiled and researched. This issue of archphoto2.0 tries to rewrite history by providing a new point of view as the possible source of new achievable utopias.


La città è il luogo in cui l’architettura radicale italiana ha rappresentato e sperimentato le sue teorie. Dopo aver sviluppato un primo studio intitolato “Dopo la rivoluzione. Azioni e protagonisti dell’architettura radicale italiana” in cui ho dato voce a quei protagonisti, per questo nuovo numero di archphoto2.0 ho deciso di affrontare il tema della città radicale, ovvero il luogo che i radicali hanno scelto per le loro sperimentazioni teoriche e pratiche. Questo cambio di punto di vista fornisce una nuova lettura dell’architettura radicale poiché abbraccia l’intero movimento e evita di concentrarsi eccessivamente su singoli frammenti, il che a mio avviso diminuirebbe il potere teorico dei radicali. L’obiettivo è scrivere una nuova pagina di storia dell’architettura come mai è stata scritta prima, utilizzando il contesto politico e culturale degli anni ’60 come punto di partenza. Le proteste studentesche per una migliore istruzione nelle università, i sit-in, gli scioperi, l’ondata rivoluzionaria proveniente da Berkeley, il People Park, la nascita della pop art in Inghilterra, la crisi dell’architettura dopo la fine del movimento moderno, la destrutturazione del linguaggio, l’intersezione disciplinare tra arte, architettura, musica e teatro hanno contribuito al contesto culturale che ha generato l’avventura radicale. Un’avventura che ha preso forma tra Firenze, Torino e Milano e ha creato connessioni con altri movimenti delle nuove avanguardie architettoniche in Austria (Pichler, Haus Rucker, Coop Himmelblau, Hollein) e nel Regno Unito (Archigram, Cedric Price). Firenze è stata uno dei principali centri del movimento come la città dei due Leonardos – Ricci e Savioli che, insieme a Eco e Konig, hanno promosso lo sviluppo delle teorie radicali. A Torino un ruolo chiave è stato svolto da Pietro Derossi con le sue connessioni con l’Arte Povera, mentre la scena milanese è stata dominata da Ugo La Pietra, Sandro Mendini, Ettore Sottsass e Fernanda Pivano. Mentre i primi progetti sono rimasti proposte teoriche, alcuni, tra cui Archizoom, Superstudio, Strum, hanno stabilito una relazione ambigua con il design che, nel tempo, è diventata sempre più importante dopo la mostra internazionale “Italy: the new domestic landscape” curata da Ambasz al MoMa nel 1972; l’unica eccezione è stata Zziggurat, l’ultimo gruppo radicale. Altri come UFO, Gianni Pettena, Ugo La Pietra e 9999 hanno scelto la “piazza” (spazio pubblico) per le loro sperimentazioni teorico/pratiche come luogo adeguato per installazioni e performance che utilizzavano lo stesso linguaggio degli artisti. Ma la “piazza” era ancora più il luogo di una connessione diretta con gli studenti e le loro proteste contro l’accademia e il sistema dominante – ciò ha influenzato lo sviluppo di UFO, il gruppo guidato da Lapo Binazzi che, tra oggetti gonfiabili e performance, ha interpretato in modo ammirevole il rapporto tra semiologia e architettura. Lo spazio pubblico è diventato il luogo di uno scambio tra artisti e radicali – ad esempio con Campo Urbano (curato da Luciano Caramel a Como nel 1969), il luogo di incontro di La Pietra, Pettena+Chiari e Paolini; o con il dialogo tra Robert Smithson e Gianni Pettena. C’è, tuttavia, un luogo in particolare che un architetto negli anni ’60 vedeva come unico capace di esprimere il concetto di modernità: il club disco. Ogni architetto radicale ne ha progettato uno. A Firenze, Superstudio ha progettato Mach2, mentre 9999 ha creato e gestito Space Electronic, il club più famoso, dove il gruppo organizzava concerti di band emergenti britanniche, happening e performance teatrali sperimentali. Il club disco Bamba Issa di UFO a Forte dei Marmi e il ristorante Sherwood a Firenze, la boutique Altre Cose di La Pietra con il suo club disco Bang Bang a Milano. Il club disco Piper progettato e gestito da Pietro Derossi a Torino è diventato un luogo di incontro per l’Arte Povera. Questa nuova scena così attenta all’intrattenimento è stata promossa da Leonardo Savioli che, ispirato dai suoi assistenti come Adolfo Natalini, ha proposto il club disco come tipo di design nel suo corso di arredamento e design d’interni alla Facoltà di Architettura di Firenze; ovviamente, anche i progettisti del Piper di Roma erano stati suoi studenti. Un altro aspetto importante di quest’epoca è stato il fiorire delle pubblicazioni indipendenti: dalle fanzine di Archigram a In e In più di La Pietra, fino al catalogo peloso di 9999 per un evento allo Space Electronic con Superstudio. La nuova ondata di sperimentazione è stata sostenuta da riviste come AD e Casabella con Sandro Mendini che emergeva con il suo approccio rivoluzionario al design delle copertine e l’attenzione alle immagini come dispositivi espressivi cruciali. Ispirata dalle avanguardie storiche – dada, futurismo ed espressionismo, l’architettura radicale ha giocato un ruolo cruciale nella storia dell’architettura, raramente se non mai menzionata nelle storie ufficiali dell’architettura e oggi rappresenta un tesoro ancora da svelare e ricercare. Questo numero di archphoto2.0 cerca di riscrivere la storia fornendo un nuovo punto di vista come possibile fonte di nuove utopie realizzabili.